L’Autodromo di Monza fu progettato e realizzato dall’Automobile Club di MIlano nel 1922, già pronto dopo tre mesi per ospitare il Gran Premio d’Italia del 1922. La superficie coperta dall’Autodromo è di 1.200.000 mq all’interno del Parco. Diversamente dai circuiti europei e americani (piste a catino con due rettilinei raccordati da curve sopraelevate) più inclini allo spettacolo puro che utili alla preparazione e alle prove su guida, quello di Monza unisce i due aspetti: all’inizio la pista era costituita da due rettifili di 1300 metri ciascuno unito da curve in cui si potevano raggiungere velocità di 300 Kmh, poi si impose una sopraelevata inferiore che nei raccordi dei rettifili permetteva alle macchine di velocità inferiore ai 180 kmh di immettersi nelle curve senza sforzi particolari. Le due piste finiscono con l’incrociarsi con un sottopassaggio nella curva nord, parallele davanti a tribune e boxes. Tale progettazione permetteva di vedere transitare due volte le vetture davanti agli spalti e l’incrocio tra pista e circuito offriva la visione in contemporanea di auto sulla sopraelevata e nel sottopassaggio. Le tribune, in legno con basamento in muratura, rimandavano all’estetica della Villa Reale. Dopo le modifiche del tracciato negli anni Trenta, iniziò per l’Autodromo il declino, fino alla distruzione del 1939. L’area divenne una struttura di ricovero per archivi (Alfa Romeo e ACI) e per gli animali del Giardino Zoologico di Milano. Se i tedeschi rispettarono la zona, non lo fecero in seguito gli alleati, che l’occuparono facendovi sfilare i mezzi corazzati pesanti e provocando danni al manto stradale e alle tribune. Adibito a campo per automezzi, l’Autodromo andò in rovina. Quando nel 1946-47 al Parco di Milano si disputò il Gran Premio d’Italia, il circuito monzese venne di conseguenza recuperato e riadattato in 70 giorni. Nell’ottobre 1948 si svolse il Primo Gran Premio dell’Autodromo, così inaugurato e portato ai fasti dei giorni nostri.
Storia
Il Monastero della Signora in Monza
Il Monastero della Signora è un educandato con scuole pubbliche alla sinistra della piazza Santa Margherita, diretto dalle Suore del Prezioso Sangue. Si tratta di un ampio fabbricato fornito di portici, corti e giardino, reso famoso nel romanzo “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, in quanto sede della Monaca, o Signora, di Monza, Maria Virginia de Leyva. Sulla piazzetta sorgeva un tempo il palazzo della famiglia Osio, cui apparteneva il disgraziato e sfortunato Giovanni Paolo, che praticò un foro nel muro di cinta del monastero in cui nottetempo penetrava per seguire i suoi desideri amorosi. Per ordine del Senato fu arrestato, torturato e suppliziato, i suoi possedimenti e abitazioni furono rase al suolo. Sul posto fu eretta una “colonna infame”, assieme ad una statua della Giustizia, ma in seguito furono tolte perchè risultavano, più che un monito al retto agire per i malvagi, un pessimo servizio alla reputazione del convento stesso.
Il Teatro Sociale in Monza
Il Teatro Sociale, in piazza del Mercato a Monza, è stato edificato nel 1810 dall’architetto Amati sulle fondamenta di quello distrutto dall’incendio del 1802, gestito a spese dell’Arciduca Ferdinando (allora Teatro Arciducale). L’origine della vecchia costruzione risale al 1777, su progetto di Piermarini da Foligno. La nuova struttura fu invece appaltata dal monzese Francesco Fossati, che affidò i lavori di pittura agli artisti Gaetano Vaccani e Giorgio Fuentes, già pittore scenico. I dipinti della volta sono opera del Monticelli (1883). Tra i protettori del teatro vi fu l’Arciduca Ranieri e il re d’Italia Umberto I. Il palazzo è a tre piani, dei quali il primo è una grande sala di ridotto con studio annesso, i palchi sono 68 suddivisi in tre ordini.
Sagra di San Giovanni
Festa del Santo Patrono della città, che consiste soprattutto nella grande fiera dei cavalli, tutt’oggi rievocata. Nella piazza grande si teneva il mercato del bestiame, fra cui c’erano gli agnellini, in onore del Santo spesso raffigurato con l’agnellino al collo. Durante la Messa solenne in Duomo avviene l’offerta dei ceri. Nelle due settimane precedenti il 24 giugno si può prendere parte alle numerose iniziative culturali, artistiche e sportive organizzate dalla città, tra cui lo spettacolo pirotecnico all’interno dei giardini della Villa Reale.
Lo Stemma di Monza
L’antico Stemma di Monza raffigura una Luna crescente di bronzo dorato con un semicerchio al mento su campo bianco. Bonincontro Morigia, secondo lo storico del Settecento Frisi, così illustra il significato simbolico dell’immagine: il campo bianco rimanda al Sole, nella figura del Papa, la Luna rimanda invece all’Imperatore. Questi due lumi, Sole e Luna, possiedono l’uno il giorno e l’altro la notte, allo stesso modo devono esserci al mondo due signori, l’uno che curi le cose spirituali, l’altro quelle temporali, cioè Papa e Imperatore, che manifestano così il loro potere in Monza.
I Ponti del Parco di Monza
All’interno del recinto del Parco di Monza, sul corso del fiume Lambro, esistono cinque ponti. Il primo, all’ingresso del fiume, è utilizzato non come accesso viario, ma per sostenere le cancellate di chiudimento. Segue il Ponte del Bertoli, dal nome di colui che procacciò i fondi contigui, il Ponte Della Cavrigia, su cui corre il viale omonimo, il Ponte delle Catene, cosiddetto poichè i parapetti sono costituiti da colonnine di granito unite da catene di ferro, e infine il ponte sotto il quale il Lambro esce dal Parco, anche questo destinato a sostenere le cancellate di ferro che impediscono la comunicazione tra dentro e fuori.
Il Pozzo della Spagnola
Presso la porta d’accesso della cinta del parco di Santa Maria delle Grazie è visibile lo sportello di un antico pozzo, così chiamato poichè una giovane ragazza spagnola, vittima di un amore contrastato, scelse di gettarvisi annegando (1600).
La Tazza di Zaffiro
La Tazza di Zaffiro è il cimelio più antico del Tesoro del Duomo di Monza. Si tratta di una coppa su piedistallo d’oro (del 1490), un tempo forse fornita di due anelli per poterla prendere con entrambe le mani (tradizione vuole che la coppa fu offerta da Teodolinda allo sposo Agilulfo dopo che ella stessa vi ebbe bevuto). Molti archeologi francesi sono dell’opinione che la coppa non sia una gemma, poichè nel XII secolo il vetro blu veniva chiamato saphir. La Tazza di Zaffiro fu usata nel brindisi solenne per le incoronazioni di Napoleone I e Ferdinando d’Austria.
La Corona Ferrea
La Corona Ferrea è il cimelio più famoso del Tesoro del Duomo, cosiddetta dalla lamina di ferro che gira nel suo interno. Undici imperatori, dall’888 al 1838, la cinsero sul capo. La Corona è un gioiello bizantino formato da sei pezzi legati da cerniere girevoli e adattabili alle varie misure di testa, in oro puro e fregiato di 24 gemme e pietre dure. La leggenda vuole che l’imperatrice Elena, madre di Constantino, avesse portato dal SAnto Sepolcro due chiodi serviti alla crocifissione di Cristo e che uno di questi sarebbe diventato la lamina di ferro della Corona. Dopo il 1848 la Corona passò di mano in mano e di corte in corte, in un avventuroso viaggio tra Austria e Italia, fino a tornare a Monza nel 1868.
Il Tesoro del Duomo di Monza
Il Tesoro del Duomo di Monza, costituito di preziosi oggetti d’epoca longobarda, è ciò che rimane a seguito delle confische di oro e argento avvenute nel 1796, per le spese di guerra necessarie a Napoleone Bonaparte. Molti manufatti vennero fusi e persi per sempre (in particolare l’antica croce istoriata con bassorilievi storici). Sempre Napoleone, per arricchire la Biblioteca Nazionale di Parigi, ordinò il trasferimento di un’altra parte del Tesoro, comprendente le corone di Agilulfo e Teodolinda, la Tazza di Zaffiro, dittici ed Evangeliario. Nel 1816 molti oggetti furono restituiti, ma andarono perse la corona di Agilulfo in oro e gemme (rubata e fusa dal ladro Charlier nel 1804) e il prezioso Evangeliario. Attualmente il Tesoro comprende la Corona Ferrea, la Tazza di Zaffiro, la Croce e Corona di Teodolinda (un cerchio d’oro gemmato con croce greca), la Croce di Berengario (cosparsa di perle e gemme), calici in argento, reliquiari, ampolle provenienti dalla Terra Santa e altri preziosi manufatti.
Affreschi degli Zavattari
Nella cappella di Teodolinda, all’interno del Duomo di Monza, la famiglia di artisti Zavattari dipinse nel 1444 il famoso ciclo di affreschi incentrato sulla corte longobarda, importante documento di arte tardogotica lombarda a tematica cortese. Impreziosita dalla tenuità e delicatezza dei colori, su paesaggi senza sfondo, si manifestano banchetti, cacce, cortei, funerali, parate e ambascerie. Teodolinda si muove col suo seguito tra cavalieri, dame, guerrieri, cavalli e cani, in uno spaccato di moda, lusso e raffinatezza di corte barbarica in cui il tema laico diventa quasi cronaca frammista di fiaba e leggenda.